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La terapia EMDR è stata presentata per la prima volta nel 1989 e sviluppata nel 1990 da Francine Shapiro e a oggi può essere definito, a tutti gli effetti, un approccio empiricamente supportato per il trattamento di esperienze traumatiche che hanno portato allo sviluppo della psicopatologia o del disagio psichico nel paziente. Gli effetti terapeutici dell’EMDR sono stati osservati già nei primi studi condotti negli anni ’90. Due studi di Brom e coll. (1989) in cui sono state condotte 15 sedute di desensibilizzazione e un lavoro di Foa e coll. (1991) hanno dimostrato l’efficacia della tecnica. Anche uno studio condotto da Forbes e coll. (1994) su soggetti affetti da Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) ha dimostrato l’efficacia dell’EMDR solo dopo 4 sedute terapeutiche.

I primi studi sull’efficacia terapeutica dell’EMDR sono stati condotti su vittime civili, sui reduci di guerra, su pazienti affetti da PTSD  e hanno dimostrato come l’EMDR favorisca una notevole riduzione della sintomatologia post traumatica.

Diverse reviews e studi meta-analitici anche più recenti dimostrano l’efficacia dell’EMDR nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico (Maxfield, 2000; Shepherd, Stein, 2000). Ad esempio uno studio del 2012 ha valutato l’efficacia clinica e neurobiologica dell’EMDR in pazienti affetti da disturbo da stress post-traumatico. Tramite la risonanza magnetica cerebrale è stato valutato il quadro clinico dei pazienti e le volumetrie ippocampali in 29 soggetti con PTSD e 30 controlli sani. I pazienti sono stati trattati con EMDR e dopo tre mesi di psicoterapia sono stati rivalutati. I risultati indicano la scomparsa della diagnosi in tutti i pazienti che hanno terminato il percorso e in tutti è stato rilevato un incremento medio del 6% dei volumi ippocampali.
Questo dimostra come l’EMDR non solo consenta una rielaborazione e reintegrazione degli eventi traumatici, ma abbia dei riscontri oggettivi anche a livello neurobiologico.

In un altro studio di Pagani del 2011 è stato utilizzato l’elettroencefalogramma per monitorare l’attivazione neuronale durante una sessione di EMDR.
 Lo studio ha descritto le attivazioni corticali dominanti durante la prima sessione di EMDR e durante l’ultima.
Durante la prima sessione, la corteccia limbica prefrontale si attivava durante l’ascolto del testo autobiografico e durante i movimenti oculari bilaterali nella fase di desensibilizzazione dell’ EMDR. Durante l’ultima sessione l’attivazione prevalente si registrava nelle regioni corticali temporali, parietali e occipitali. Questo dimostra come anche a livello cerebrale sia possibile rilevare dei cambiamenti a seguito di una terapia con EMDR.
Indagini di neuroimaging sugli effetti della psicoterapia nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress (PTSD), tramite l’EMDR hanno riportato evidenze sulle modifiche del flusso ematico cerebrale (PET), del volume e densità neuronale (RM) nonchè del segnale elettrico cerebrale (EEG). I cambiamenti neurobiologici correlati all’EMDR sono stati monitorati durante la terapia stessa e si è evidenziato uno spostamento dell’attivazione massima dal sistema limbico “emotivo” a regioni corticali “cognitive”.

Sono stati riportati cambiamenti neurobiologici che si verificano durante ogni seduta di psicoterapia, rendendo l’EMDR la prima forma di psicoterapia con un effetto neurobiologico comprovato.

In uno studio di Hogberg del 2008, invece, venti soggetti con PTSD sviluppato in seguito a incidenti sul treno o aggressioni sul posto di lavoro, sono stati trattati con cinque sedute di EMDR. Ai pazienti sono state somministrate scale psicometriche e interviste diagnostiche prima del trattamento, dopo il trattamento, dopo otto mesi e dopo 35 mesi dopo la fine della terapia. Il follow up ha permesso di rilevare come i risultati riscontrati subito dopo il trattamento si mantengono nel tempo.
Gli studi anche recenti sull’efficacia dell’EMDR e il mantenimento dei risultati conseguiti anche nel follow-up dimostrano l’importanza di continuare ad investire nella ricerca e nell’ampliamento e perfezionamento della tecnica.

L’EMDR è utilizzata con successo anche nel trattamento di bambini esposti a eventi traumatici.
In particolare, uno studio di meta-analisi dei ricercatori del Department of Educational Sciences di Amsterdam (Rodenberg et al., 2009), mostra l’efficacia dell’EMDR per i traumi infantili. La meta-analisi consiste nel riassumere, nel modo più dettagliato possibile, le ricerche riguardanti quello specifico aspetto (in questo caso l’approccio EMDR con bambini), tenendo conto di alcune variabili come ad esempio, l’attenzione del terapeuta, le aspettative del paziente e la standardizzazione del campione. In questo lavoro, peraltro, l’EMDR veniva messa a confronto con altri approcci psicoterapeutici.
I risultati della ricerca mostrano che, l’ EMDR con bambini è più efficace di altre terapie classiche, nella risoluzione del disagio psicologico legato all’evento traumatico durante l’infanzia e in alcuni casi, il trattamento porta più velocemente a benefici rispetto allo stesso trattamento utilizzato nell’adulto. La ricerca conferma l’efficacia dell’EMDR nella risoluzione del PTSD e ad oggi risulta essere il più grande lavoro di meta-analisi (7 ricerche a confronto) concernente il trattamento EMDR con bambini esposti a esperienze traumatiche.
Nonostante le prove di efficacia, il meccanismo che determina i risultati dell’EMDR è stato oggetto di dibattito per molti anni, principalmente per la difficoltà nell’operazionalizzare i costrutti di congelamento e rielaborazione. A questo si aggiunga che recenti review della letteratura scientifica internazionale hanno evidenziato come risultati tra terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e EMDR non risultino significativamente differenti (National Institute of Clinical Excellence, 2005; Seidler & Wagner, 2006) nel trattamento dei disturbi legati al trauma.
Gli autori suggeriscono la necessità di spostare l’attenzione dalla semplice efficacia alla comprensione dei mediatori del cambiamento, vale a dire quei meccanismi che vengono effettivamente modificati dall’intervento terapeutico e che determinano la risoluzione del disturbo.

Marcel A. van den Hout, ricercatore di fama internazionale, negli ultimi anni assieme a numerosi colleghi ha affrontato e testato una dopo l’altra tutte le ipotesi inerenti il meccanismo di funzionamento della terapia EMDR.
Ne emerge una sintesi di grande valore scientifico che permette di chiudere alcune strade e aprirne delle nuove.

1. L’EMDR e altri interventi efficaci sul trauma sembrano agire attraverso la riduzione della vividezza dei ricordi traumatici (Engelhard et al., 2010). La forza immaginativa del ricordo traumatico viene offuscata e questo significa una minor sensazione di realtà imminente, minor attivazione emotiva, maggior capacità di riflessione e rielaborazione del ricordo. Questa riduzione della vividezza potrebbe essere il mediatore comune dei diversi interventi efficaci sul trauma.
2. Il meccanismo con cui avviene la riduzione della vividezza non è l’abituazione, non basta esporsi più volte al ricordo o ripetutamente riviverlo perché questo perda le proprie caratteristiche immaginative.
3. Il meccanismo non è la sincronizzazione dei due emisferi, la riconnessione tra gli stessi, il passaggio dell’informazione tra un emisfero e l’altro. Infatti non si hanno variazioni nell’elettroencefalogramma (Samara et al., 2011) ma soprattutto la stimolazione verticale ottiene i medesimi risultati di quella orizzontale.
4. Il meccanismo sembra essere un processo di appesantimento della memoria di lavoro durante il recupero del ricordo traumatico (van den Hout et al., 2011). Stimolando la memoria di lavoro (working memory) che ha capacità limitate attraverso un secondo compito (es: seguire il movimento delle dita) questa non sarebbe più in grado di recuperare le informazioni traumatiche con la stessa vividezza. Si aprirebbe così lo spazio a un’elaborazione più distaccata del materiale mnestico comunque rievocato.
5. L’ipotesi del working memory taxing è confermata dal fatto che altri esercizi che notoriamente appesantiscono la memoria lavoro, come l’esecuzione di alcuni compiti matematici che richiedono la memorizzazione di una serie di numeri, ottengono gli stessi effetti in termini di riduzione della vividezza dei ricordi negativi.
6. Un’altra interessante conclusione riguarda l’utilizzo dei beep (rumori alternati), piuttosto che dei movimenti oculari. I beep non appesantiscono la memoria di lavoro. E in effetti un recente studio (van den Hout et al., 2012) mostra come ottengano risultati significativamente inferiori all’uso dei movimenti oculari, anche se considerati una stimolazione bilaterale. Quindi la sostituzione della stimolazione oculare con quella uditiva è sconsigliata e prematura.

Dott.ssa Nicoletta Alberta

Psicologa Psicoterapeuta

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