L’attacco di panico, per il suo aspetto molto “fisico” viene considerato spesso come una malattia senza implicazioni psicologiche, ossia senza correlazioni con l’ambiente in cui si vive e le esperienze già vissute. Eppure, al di là delle diversità individuali, gli studi psicodinamici hanno messo in luce un forte collegamento tra l’episodio di panico ed esperienze negative pregresse che hanno contribuito a causarlo.
Un morso alla gola
il panico
Un losco foulard stringe il nodo
Lede instillando angosce
Intesse cime di pensieri annodando dolore
Black out
Fuori la notte
Per una chiara luce dentro
Questa breve poesia è densa di significato, colma di immagini che permettono di calarsi nel vissuto di chi è stato colto dal cosiddetto Disturbo da Attacco di Panico (DAP). Una sofferenza intensa, sperimentata come improvvisa, incomprensibile e difficilmente condivisibile.
Vivere il panico significa sapere che il pericolo reale non c’è, ma non riuscire a gestire le emozioni che, ad un certo punto, non lasciano spazio al pensiero. La componente emotiva che caratterizza il disturbo di panico prende totalmente il sopravvento su quella cognitiva, portando la persona a percepire come potenzialmente pericolose situazioni neutre. Il predominare del nostro cervello emotivo porta così, nel giro di pochi istanti, ad un aumento esponenziale dei livelli di ansia che generano la convinzione di un pericolo di vita imminente.
Gli interventi di ristrutturazione cognitiva (volti a cambiare i pensieri erronei) o le tecniche di rilassamento posso essere utili per ridurre l’intensità o frequenza degli attacchi, ma non sono sufficienti per la remissione totale del disturbo.
- CAUSE DELL’ATTACCO DI PANICO
- EFFETTI COLLATERALI DELL’ATTACCO DI PANICO
- LA TERAPIA EMDR NELL’ATTACCO DI PANICO
- RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CAUSE DELL’ATTACCO DI PANICO
L’origine dell’attacco di panico è da ricondurre a conflittualità emotive inconsce, sia personali che relazionali. Nella storia personale di chi soffre di panico e nelle circostanze in cui si sono verificate le prime crisi di panico, sono visibili elementi comuni. Per esempio, la frequenza con cui ricorrono nell’infanzia lutti o separazioni, la difficoltà a trovare parole per esprimere le proprie emozioni, la presenza di un legame ambivalente con uno dei genitori… E, ancora, tra gli eventi scatenanti che precedono la manifestazione del Panico, ricorrono situazioni di perdita di una persona importante, o la fine di una relazione amorosa, la perdita del posto sicuro di lavoro…
Alcune situazioni negative esperite nell’infanzia possono far si che la persona strutturi una base di attaccamento debole ed insicura, che comporta una paura che si verifichi un abbandono o una perdita. Quando in un momento della vita avviene il lutto di una persona importante, la fine di una relazione amorosa, o la perdita del posto di lavoro, è possibile che si riattivi dolorosamente quel vissuto sempre temuto. Nella storia personale sono presenti sia il disturbo di panico, sia i vissuti dell’ansia da separazione e, in entrambi i casi, è vivida la sensazione di aver perso bruscamente il centro della propria stabilità, del proprio equilibrio psicologico, facendo spazio a sentimenti di vulnerabilità: sia durante gli attacchi di panico, sia durante le crisi di ansia di separazione sono presenti la percezione di essere deboli, la difficoltà a fare un respiro profondo, la sensazione di nodo alla gola e i pensieri catastrofici di morte o malattia (nell’ansia di separazione riferiti alla figura di attaccamento, nell’attacco di panico riferiti a se stessi).
Chi soffre di attacchi di panico è come se vivesse in costante allarme, un ritorno ad un’infanzia insicura in cui prevale ansia e paura, insieme ad uno stile di vita improntato sull’inibizione del comportamento di esplorazione autonoma a favore della conservazione di schemi comportamentali rigidi, atti alla ricerca di protezione.
Secondo le teorie psicodinamiche, a livello psicologico risulta quindi una stretta connessione tra il disturbo di panico e situazioni nell’infanzia di perdita, reale o temuta, di una figura significativa dell’infanzia. Ma non solo.
In compresenza a conseguenti stati emotivi di ansia e paura, sembra prevalere, inoltre, uno stile di vita improntato sull’inibizione del comportamento di esplorazione autonoma. Nella maggior parte dei casi, infatti, i genitori di queste persone spesso sono stati e continuano ad essere fortemente ansiosi e iperprotettivi.
Le limitazioni alle iniziative di distacco del bambino vengono solitamente giustificate in nome di una sua presunta debolezza costituzionale fisica od emotiva.
Se da un lato la continua protezione e attenzione ricevuta da genitori iperprotettivi, consente di elaborare un senso di sé come persona amabile e di valore, dall’altro le restrizioni nella propria autonomia causano l’elaborazione contemporanea di un senso di sé come debole ed incapace, che non può integrarsi col precedente.
Tutto ciò comporta un’angoscia di duplice natura: angoscia per la separazione, che si manifesta come paura dell’abbandono e della solitudine, e l’angoscia di essere intrappolato, o imprigionato, che accompagna l’identificazione con il genitore.
Questa è la conflittualità emotiva inconscia che sottende lo sviluppo dei sintomi di attacchi di panico. Spesso ci si confronta con intensi vissuti di rabbia e ambivalenza (amore/odio, dipendenza/autonomia) e con il timore che tali vissuti in un qualche modo possano minacciare e danneggiare il rapporto con persone importanti. Sebbene molte persone, infatti, siano consapevoli di questi sentimenti, che sentono come spiacevoli e difficili da tollerare e controllare, molti di questi sono in realtà vissuti ad un livello inconsapevole e si riflettono poi nella sintomatologia specifica del panico.
Emozioni e fantasie che sono vissute come minacciose o pericolose sono così evitate con meccanismi psicologici e comportamentali automatici, quali la negazione di stati emotivi dolorosi o atteggiamenti iper amichevoli, che mascherano la tensione emotiva, in modo così da evitare il conflitto (reale o solo immaginato e temuto).
Questi meccanismi, psicologici e comportamentali, permettono di spostare sentimenti a forte carica emotiva verso oggetti e situazioni meno importanti dal punto di vista emotivo. Il disturbo di panico spesso è, così, una formazione di compromesso tra desideri e sentimenti conflittuali e difese inconsce verso questi, ad esempio tra rabbia e desideri di dipendenza affettiva verso figure importanti nella vita affettiva della persona.
L’ansia, infatti, ad un livello che potremmo definire come “accettabile”, avverte della presenza di desideri e impulsi che sono vissuti come potenzialmente pericolosi: scelte relazionali e affettive, responsabilità lavorative o sentimentali, separazioni reali o anche solo immaginate.
Quando non si riesce a contenerla attraverso meccanismi psicologici e comportamentali ottimali, essa può incrementare fino a manifestarsi nei sintomi del panico.
EFFETTI COLLATERALI DELL’ATTACCO DI PANICO
Durante l’attacco di panico, la persona cerca di scappare via, di lasciare l’ambiente nel quale si trova, qualunque esso sia, senza badare ad altro che ad una via di fuga. Vorrebbe riuscire a comunicare ciò che gli sta accadendo, ma la parola non esce e il pensiero non è lucido: tutto questo lascia un forte segno nella memoria e nell’esperienza. Esistono infatti degli “effetti collaterali” al disturbo di panico, ossia una serie di disturbi e sintomi che si manifestano inevitabilmente dopo il primo attacco di panico, come ad esempio l’ansia anticipatoria, l’ipocondria, l’agorafobia, e la depressione.
L’ansia anticipatoria rappresenta il sintomo specifico del disturbo di panico: si presenta infatti come un senso pressoché continuo di disagio che la persona vive in attesa che arrivi un nuovo attacco acuto. L’imprevedibilità di un eventuale nuovo episodio la porta a cercare di capire come poter allontanarne il rischio. Il disturbo di panico è spesso associato ad agorafobia, vale a dire l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dove non è possibile allontanarsi nel caso di disagio o panico; oppure, all’ipocondria, ossia la paura delle malattie, e la ricerca disperata di un disturbo fisico a cui imputare i sintomi corporei dell’attacco di panico. La demoralizzazione e la depressione accompagnano poi quasi inevitabilmente l’evoluzione del disturbo. L’isolamento progressivo, il fatto che lo stile di vita sia interrotto porta allo scoraggiamento: la persona è lucida, consapevole, ma disperata perché non sa fare più nulla. Può capitare allora che inizi a bere o ad usare sostanze per cercare di alleviare il dolore e la disperazione; anche il rischio di suicidio è piuttosto elevato.
TERAPIA EMDR NELL’ATTACCO DI PANICO
Non spaventarti. L’attacco di panico non è un infarto.
Non stai impazzendo e non stai morendo.
Queste sensazioni sono frutto di pensieri irrazionali.
Ci si può liberare da questa condizione. Si può tornare a star bene … si può tornare liberi. (Cit.)
Conoscere a fondo un problema può aiutare a trovare le risorse più efficaci a risolverlo e, soprattutto, le terapie più adatte per modificare i conflitti interni inconsci che lo sottendono.
La terapia EMDR offre una modalità innovativa di comprensione del disturbo di panico nonché di intervento specialistico utilizzabile nel piano terapeutico, indipendentemente dall’approccio di riferimento.
Poiché l’insorgenza del disturbo di panico è correlata alla riattivazione di esperienze traumatiche precedenti, comprese separazione, lutto, malattia o un periodo di stress prolungato, diviene fondamentale prestare attenzione alla storia di attaccamento e alle esperienze infantili precoci stressanti da elaborare con EMDR. La focalizzazione dell’EMDR sarà quindi sul ricordo dell’esperienza o delle esperienze traumatiche che hanno contribuito a sviluppare il disturbo di panico, insieme ad uno stile di vita eccessivamente improntato da ansia, stress e conflitti. Ma non solo. Un attacco di panico può essere vissuto come un’esperienza traumatica in sé, per cui il trattamento EMDR prevede l’elaborazione anche del ricordo degli attacchi di panico (il primo, il peggiore, l’ultimo).
Per il trattamento EMDR viene utilizzato un protocollo suddiviso in 8 fasi che permette un’elaborazione accelerata dell’evento traumatico, attraverso esercizi di doppia focalizzazione, verso l’interno e verso l’esterno.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Giorgio M. Bressa, Carla Massi (1996), Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), NIS, Roma, 1996.
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Ammaniti M., Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Cortina, 2002.
Vinciguerra P., Fernandez I., Il panico ospite imprevisto. Diagnosi del disturbo e Terapia EMDR, Mimesis, 2019.